Dopo le farfalle, i Coleotteri sono il gruppo di insetti che maggiormente attraggono l’attenzione per la stranezza delle loro forme e per i vivaci colori
delle loro elitre che a volte hanno riflessi metallici. Anche per questo sono stati ( e purtroppo sono ancora…) oggetto delle attenzioni di entomologi dilettanti,
come sono stato anch’io da adolescente, interesse che talvolta degenera nel desiderio di collezionisti senza scrupoli di aggiungere alla propria raccolta
gli esemplari più rari, senza preoccuparsi del pericolo per la loro estinzione. Non per nulla la Rosalia alpina, elegantissimo cerambicide legato alle
foreste di faggio e bioindicatore del loro stato e grado di maturità, molto ricercata dai collezionisti, è inserita, come prioritaria, tra le specie degli
allegati II e IV della Direttiva Habitat (specie di interesse comunitario che richiede la designazione di zone speciali di conservazione e una
protezione rigorosa) ed è protetta in Emilia Romagna fin dal 2006.
Tornando alla mia esperienza personale, ricordo che da ragazzino passando nelle calde serate d’inizio estate in prossimità di una segheria per la produzione di
pallets (al “rezghén” nel nostro dialetto), era facile trovare cervi volanti (i “sicorgnón”), scarabei rinoceronti e maggiolini marmorizzati caduti nella
strada sotto i lampioni: molti finivano schiacciati dalle auto, ma allora il traffico in paese era molto ridotto (parlo della prima metà degli anni sessanta…),
tanto che in strada ci giocavamo a pallone! Non era un caso che quei grossi coleotteri si trovassero lì; infatti annesso alla segheria c’era un deposito all’aperto
dove il legname rimaneva anche per più anni, una vera manna per le larve di questi insetti che sono xilofaghe, ovvero si nutrono del legno dei vecchi tronchi.
Proprio alla presenza di una catasta di legna usata per il camino in una casa di Terenzo, si deve probabilmente il mio primo incontro con una Cerambice un po’
particolare.
Le Cerambici sono coleotteri dalle caratteristiche lunghe antenne e alcune raggiungono lunghezze di alcuni centimetri, mentre altre più piccole si possono
osservare facilmente sui fiori.
Il Morimus asper è un Cerambycidae che può avere una lunghezza che va dai 2 ai 4 cm, con antenne che nei maschi possono superare i 7 cm: la maggiore
lunghezza delle antenne nei maschi rispetto alle femmine è una caratteristica tipica della famiglia.
Non ha una colorazione attraente: infatti è grigio opaco, quasi nero, con due macchie più scure, ma poco evidenti, su ogni elitra, mentre sono ben visibili sul
fondo cinereo nella sottospecie funereus, molto rara e presente in Italia solo in alcune foreste del Friuli Venezia Giulia.
La superficie della corazza si presenta rugosa, con protuberanze scabrose sul torace (caratteristica indicata nel binomio specifico dal termine latino asper = rugoso).
Il nome generico invece deriva dal greco morimos = determinato dal fato o destinato a morire, secondo altre fonti.
Non conosco le ragioni della scelta: mi piace però immaginare che l’entomologo svizzero Johann Heinrich Sulzer, al quale si deve il nome scientifico, abbia pensato ad uno strano scherzo
del destino che ha fatto sì che le elitre di questo coleottero fossero saldate rendendogli impossibile il volo.
Prigioniero della sua corazza, questa cerambice può spostarsi dal luogo dove è nata solo camminando.
La scarsa capacità di ampliare il proprio raggio di diffusione, unito alla notevole riduzione dei boschi con alberi vecchi e ricchi di legno morto del quale le larve si nutrono, ha
determinato un declino delle popolazioni che spesso restano fra loro isolate seguendo il destino degli habitat cui sono legate.
Una volta trovato il soggetto l’impossibilità di volare naturalmente rende più facile il lavoro del fotografo: ecco spiegato il perché di tante foto ambientate e delle riprese
ravvicinate.
Vista da vicino non ha certo un aspetto rassicurante.
Le potenti mandibole atte a farsi strada nel legno al momento di uscire dalla camera pupale e ad incidere le cortecce dei rami per nutrirsi, assomigliano molto ad un tronchese in miniatura.
Questa cerambice non è aggressiva, ma per maneggiarla ci vuole attenzione perché la pizzicata di queste mandibole può essere molto dolorosa. Fra l'altro, manipolandolo, si può essere sorpresi
dai suoni striduli che produce muovendo le articolazioni del torace nel tentativo di divincolarsi dalla presa.
Le foto si riferiscono a 4 diversi esemplari rinvenuti a Terenzo (agosto 2005) e a Collecchio nel Parco dei Boschi Carrega (settembre e ottobre 2010, agosto 2013)
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